Albrecht Durer


Nacque a Norimberga il 21 maggio 1471. Il padre orafo fu il suo primo maestro e da lui apprese la precisione e laminuziosita’ del disegno. Era il terzo dei 18 figli della madre Barbara Hol-per per la quale nutri’ grande affetto. Fu apprendista presso la bottega di Michael Wolgemut il migliore pittore norimberghese di allora. A 23 anni, dopo un viaggio di studio nella valle del Reno, dove ebbe qualche contatto col Rinascimento italiano attraverso le stampe di artisti veneti giunte a Basilea, sposò Agnese Frey. In quello stesso autunno del 1494, sentì, primo fra gli artisti tedeschi, il bisogno di varcare le Alpi e di venire in Italia a vedere Venezia e i suoi maestri. Fu in occasione di quel viaggio che giunse in Valle di Cembra. Non sappiamo se nell’autunno del 1494 o nella primavera del 1495 perchè le notizie su questo primo viaggio si ricavano esclusivamente da ciò che riprese negli acquerelli. Da quegli appunti di viaggio, da sfruttare in opere successive, sappiamo che fu a Innsbruch, in Valle d’Isarco, in Valle di Cembra, a Trento, ad Arco. Qualche critico, in modo assai limitativo, considera gli acquerelli alla stregua di disegni, altri li ritiene dei piccoli capolavori per la novità dei soggetti e per la loro intrinsecabellezza. In Valle di Cembra Dürer eseguÏ diversi lavori, ma solo per alcuni e’ possibile stabilire dei riferimenti precisi. Tornato a Norimberga era in grado di aprire uno studio di artista.
L’amicizia con Willibaid Pirckheimer gli permise di venire in contatto con gli ambienti colti e aristocratici, che gli offrirono il modo di affinare mire e interessi. In quegli anni, tra il 1496 e il 1505 esegui’ le famose serie di xilografie dell’Apocalisse, della Grand Passione, della Vita della Madonna. Nel secondo viaggio a Venezia tra il 1505 e il 1507 potè presentarsi quasi alla pari con ipittoriveneti. In Germania era considerato un artigiano, a Venezia un Signore. Al periodo successivo appartengono tutte le sue opere piu’ importanti, nel frattempo divenuto celebre e famoso anche in patria. Nel 1512 venne in contatto con l’imperatore Massimiliano I, per il quale esegui’ importanti lavori e gli concesse una pensione. Nel 1519 compi’ un viaggio in Olanda per incontrare Carlo V inoccasione della sua incoronazione e per avere la conferma della gratifica. La sua salute andava deperendo e il 6 aprile 1528, quasi improvvisamente, morì all’età di 57 anni. L’opera da lui lasciata e’ vastissima: circa 700 disegni tra cui una quarantina di acquerelli, un centinaio di incisioni in rame, un’ottantina di dipinti, la maggior parte ad olio su tavola e oltre duecento incisioni in legno. Ognuna delle incisioni è un mondo a sè con tanti minuti particolari in cui sovente vi sono spunti derivati dai disegni e dagli acquerelli. Un patrimonio artistico di inestimabile valore in cui vive lo spirito di questo grande.

Paul Jackson Pollock


Paul Jackson Pollock nasce a Cody, Wyoming, il 28 gennaio 1912. Cresce in Arizona e California; qui entra in contatto con la cultura popolare indiana e pellerossa, che resterà un riferimento importante nella sua ricerca artistica.
Nel 1928 frequenta la Manual Arts High School di Los Angeles, ma ne viene espulso.
Nell’autunno del 1930 si reca a New York e studia all’Art Students League avendo per insegnante Thomas Hart Benton, che lo incoraggerà nei dieci anni seguenti.
Nei primi anni ’30, Pollock conosce e apprezza la pittura sociale realista messicana di José Clemente Orozco e Diego Rivera; per tutto il decennio viaggia molto negli Stati Uniti, ma per la maggior parte del tempo vive a New York, dove si stabilisce definitivamente nel 1935 entrando nel WPA, Federal Art Project (progetto promosso dal Governo Usa per sostenere gli artisti rimasti senza lavoro durante la depressione economica), alla divisione Murales. Vi rimarrà fino al ’42, occupandosi anche della pittura a cavalletto; sempre a New York, nel 1936, opera nella bottega di David Alfaro Siqueiros.

La scoperta di Picasso, insieme alla grande mostra del Surrealismo europeo, allestita a New York nel 1936, gli permette di rompere definitivamente con le “provinciali” influenze americane.

Nel 1942 conosce Lee Krasner: sarà lei a introdurlo negli ambienti più interessanti di New York, a presentargli, tra gli altri, personaggi come De Kooning. Il sodalizio con lei giocherà un ruolo importantissimo nel suo percorso artistico e umano.

Le esperienze di Mirò, Gorky e quelle contemporanee di De Kooning contribuiscono ad accrescere il suo interesse per il segno e l’automatismo, come espressione immediata e diretta del proprio sentire. In questa fase, le sue opere restano allusive a forme riconoscibili e non approdano subito alla totale astrazione.

Nel 1943 tiene la prima personale alla galleria di Peggy Guggenheim a New York, Art of This Century; Peggy Guggenheim gli offre un contratto che dura fino al 1947 e che gli permette di dedicarsi esclusivamente alla pittura.
In questa fase si evidenzia l’assimilazione del linguaggio delle avanguardie europee (Surrealismo, Cubismo e Picasso) animata da quella che diventerà la componente forte della sua pittura: la carica segnica e gestuale. Alla fascinazione per l’analisi junghiana (che lo spinge alla ricerca di archetipi, di forme primarie, comuni all’inconscio collettivo) si aggiunge inoltre quella per l’arte degli indiani d’America, in particolare le pitture di sabbia (sand painting) dei Navajo.
Nelle opere anteriori al 1947 si avverte l’influenza di Pablo Picasso e del Surrealismo; nei primi anni ’40 partecipa a diverse mostre di arte surrealista e astratta, tra cui Natural, Insane, Surrealist Art, alla galleria Art of This Century nel 1943, e Abstract and Surrealist Art in America, allestita da Sidney Janis alla Mortimer Brandt Gallery di New York nel 1944.

Nell’autunno del 1945 sposa Lee Krasner e si stabilisce a The Springs, East Hampton. Nel 1952 ha luogo la prima personale a Parigi, allo Studio Paul Facchetti, e la prima retrospettiva al Bennington College nel Vermont, organizzata da Clement Greenberg. Partecipa a diverse collettive, tra cui quelle annuali al Whitney Museum of American Art di New York a partire dal 1946, e alla Biennale di Venezia nel 1950. I suoi lavori sono conosciuti ed esposti in tutto il mondo, ma non viaggia mai fuori dagli Stati Uniti.
A partire dal 1947, la superficie della tela si fa sempre più grande, come più grandi si fanno i pennelli, così da consentire un sempre maggiore distacco dalla tela.

Il passo successivo, dal ’49, è l’adozione della tecnica del “dripping”: l’utilizzo del colore gocciolato dal pennello o direttamente dai barattoli su superfici, cartone o tela disposte orizzontalmente e lavorate su tutti i lati, con la creazione di grovigli di segni, macchie, spruzzi, aloni; tutto il corpo dell’artista viene coinvolto e il segno è governato dalla gestualità del braccio.

Negli ultimi dipinti di questo periodo, per cui il critico Greenberg inventò il termine di “Action painting”, si aggiungono spesso sabbia, ciottoli, filo metallico, pezzi di vetro. Dal 1950 al 1952 Pollock raggiunge risultati di intensità quasi delirante che traducono le sue tensioni interne in quadri esclusivamente bianchi e neri. Negli ultimi anni riprende poi il suo stile fatto di frenetiche forme circolari di colore in stratificazioni materiche sempre più intense. Nell’immagine che risulta non vi è centro né direzione di osservazione: è pittura “all over” (a tutto campo). Si è parlato, a questo proposito, di “Espressionismo astratto” perché il dipingere nasce come emersione di una pulsione, carica di energia, anche violenta, manifestazione di uno stato d’animo che scavalca qualsiasi progetto per affidarsi a una “automaticità” del gesto che nasce dal profondo.

Nel 1950 firma la protesta degli Irascibili; nello stesso anno espone tre opere all XXV Biennale di Venezia e Peggy Guggenheim organizza contemporaneamente per lui, in città, una mostra al Museo Correr. Afflitto da sempre dall’alcool, contro il quale ha anche molto combattuto con alterne fortune, ricomincia a bere oltre misura e dal 1954 rallenta la sua attività.

Muore in un incidente stradale a New York l’11 agosto 1956.

La sua figura diviene presto un mito, alimentato dai tratti caratteristici emblematici: la ribellione, la dipendenza dall’alcool, l’attrazione per le filosofie orientali e la psicologia junghiana, la contiguità con le ricerche musicali più avanzate (John Cage), l’improvvisazione e la creatività immediata su un tema iniziale, (tipica in quegli anni anche del Jazz e del Be bop), la ricerca di libertà nei confronti della forma (che sarà in seguito carattere peculiare degli happening), perfino la drammatica fine.

Ritenuto il maggior rappresentante dell’Action Painting e dell’Espressionismo astratto, ha rappresentato un momento importante della ricerca artistica del secolo scorso e la prima affermazione del mondo statunitense come nuovo centro dell’arte nella seconda metà del ‘900.

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ANTONIO DE LUCA. suoni e suggestioni materiali


Il salento è sempre stato un “luogo” della mente, uno spazio onirico denso di forti contaminazioni. La natura geografica della sua collocazione lo ha reso crocevia di culture che hanno lasciato tracce indelebili. Proprio da questo affollarsi di miscellanee relazioni umane, proviene quella natura “artistica e sensibile” che si ritrova in ogni uomo e in ogni donna.  Con l’apertura degli ultimi anni in effetti, molti sono i personaggi che possiamo vedere emergere dal fondo di magie  rituali e profondi inconsci. Antonio De Luca, non è certo nuovo nel panorama artistico. Le sue sculture “sonore” sono il frutto di una ricerca antica, dove i materiali restituiti al tempo e schiodati dalla croce del loro eterno riposo, rivivono una identità antica che trascende la contemporaneità di suggestioni, per addentrarsi in labirinti intricati e profonde distanze. Ogni animo sollecitato dai cavi e dal suono di vecchi vassoi, ogni timpano risuona di qualcosa di ancestrale. Non è “nuovo”. Lo abbiamo sempre saputo. Antonio De Luca, lo restituisce alla sua terra, incontaminato e ancora potente: il suono.